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Hanno scritto di Lei...

 

passerotto morto

Enzo Carli

Critico e Storico dell'arte

Sono lieto di salutare questo primissimo esordio in pubblico di Giovanna Consorti perché rare volte mi è occorso di ravvisare in un giovane artista un percorso così intenso, coerente e rigoroso. Esso infatti, pur nella ricchezza e nella validità dei singoli raggiungimenti poetici rivelatori di un temperamento, più ancora che sensibile, fervidamente appassionato ed aperto verso gli aspetti della realtà, si configura negli otto-nove anni che mi sono noti, cioè da quando, assai precocemente, ha preso coscienza di se e del suo farsi storia, sotto il segno di un’assidua ricerca di epurazione formale, di essenzialità rappresentativa ed al tempo stesso in una progressiva liberazione dei più intimi ed immediati moti che stimolano e governano l’espressione pittorica e grafica.

Nella motivata chiarezza di questi svolgimento fanno fede ad esempio i bellissimi collages con cui nel ’67 e ’68 l’artista ha sentito il bisogno di bloccare in nitide proposte formali l’intenso pittoricismo materico dei precedenti saggi, mantenendone tuttavia intatti il delicato tonalismo e la vibrante sottigliezza degli accostamenti cromatici. I successivi studi di composizione, spesso di elementi non figurativi, le hanno permesso di mera saggiare la potenzialità costruttiva di una grafica straordinariamente incisiva grazie alla quale il recupero del dato di natura si è potuto attuare non come mera trascrizione mimetica, ma con attivo intervento e conoscitivo sulla sostanza delle cose e come scoperta di inedite verità, sia che esse si riferiscano alle aperture spaziali e prospettiche di un passaggio amato, oppure avvertissero il drammatico profilarsi di un filare di viti spogliate o apparissero addirittura stimolate da una tenera “pietas” per la sorte di un passerotto caduto dal nido: tali sono infatti i temi ultimamente prediletti da Giovanna Consorti. Ma anche a prescindere dal calore affettivo e dalla schiettezza che le caratterizzano, la produzione pittorica di questa giovane artista, figlia di una noto scultore, s’impone come saggio di una singolare lucidità intellettuale e come esemplare lezione di moralità.


Presentazione alla Mostra di esordio, Siena, 1972, Galleria Jacopo della Quercia









Olivi carboncino

Piergiacomo Petrioli

Storico dell'arte


Gli olivi di Giovanna Consorti

La pianta dell’olivo è profondamente legata alla storia dell’uomo. Alena e Poseidone si sfidarono per il dominio sull’Attica. Chi dei due dei avesse recato agli uomini il dono più utile, secondo il giudizio di Cercrope, il figlio di Gea, avrebbe vinto. Il dio del mare, battendo la terra con il tridente, creò il cavallo; la dea della sapienza, invece percuotendo il suolo con il suo giavellotto, fece nascere l’olivo, e vinse.

Da allora la capitale dell’Attica si chiamò Atene, per ringraziare la divinità del prezioso regalo. La saggezza degli dei dona quindi all’umanità l’olivo. Nella Bibbia, Mosè usa l’olio di oliva per ungere l’arca dell’Alleanza e suggellare così il patto tra Dio e gli uomini, santificandolo. L’olivo quindi è sacro e “albero amico” lo chiama Sofocle nell’Edipo a Colono. L’olivo dunque molto più di una pianta, è simbolo di sapienza, di cultura di una tradizione e di una civiltà millenaria, sorte nel bacino del Mediterraneo. Diviene parte imprescindibile della nostra identità. I disegni di Giovanna Consorti ritraggono a grafite alberi di olivo, dai ceppi nodosi e contorti; sono quelli della campagna senese, ruvidi, tozzi e grezzi simulacri, dalla corteccia rugosa e arsa dal sole, come la pelle del vecchio contadino; rudi all’esterno, ma che sanno offrire il dorato sapido succo dell’olio. Tronchi come sculture, s’intrecciano, s’inerpicano, s’intrigano con giochi di rami con plastica valenza in questi disegni. I fusti assumano quasi aspetto umano, arti, braccia, gambe, fusti. La Consorti con amorevole sensibilità scultorea, ne segue le forme, traccia i percorsi irti e scabrosi della scorza, conferendo ad ogni singolo albero una propria personalità, una particolare identità: vi sono quelli tozzi e scarni, gli slanciati fronzuti, quelli segnati da profonde ferite nel ceppo… Le piante diventano, in tal modo, singoli numi tutelari, Lari e Penati del paesaggio toscano, benevoli Dei della nostra anima… .

Dal catalogo Gli Olivi, 2011







particolare casa

Cordelia von den Steinen

Scultrice

I dipinti di Giovanna Consorti e il mondo in cui vive sono un tutt’uno. Alla base della sua dedizione ai temi della natura non ci sono intenti teorici, per esempio al riguardo delle urgenze ecologiche, né romanticismi ma una reale e genuina sintonia con la natura: la vedo infatti potare amorevolmente i suoi fiori, raccogliere le olive, piantare erbe odorose, trasformare il suo giardino in una opera d’arte. Il suo giardino è compreso in un grande, meraviglioso, secolare giardino: quello delle crete senesi, tema dei dipinti qui presentati. Giovanna Consorti entra quindi nel panorama dell’arte come paesaggista. Senza voce contraria, la libertà di espressione rappresenta un valore condiviso, vale a dire: l’artista non deve. D’altra parte non meno condivisa è la massima secondo cui l’artista, per essere tale, deve esprimere il proprio tempo.


Delle due la mia prima domanda a questo proposito è: quale, tra le infinite realtà che compongono il mosaico del nostro tempo, è delegata a rappresentarlo? Si intuisce che sono sottintese la cultura metropolitana, globalizzata, tecnologicamente avanzata e le realtà sociali di massa, che artisticamente si riconoscono nelle sperimentazioni. Ciò incurante dal fatto che del nostro tempo fanno ugualmente parte infinite altre realtà come per esempio quelle delle steppe, delle Alpi, delle crete. Comunque dipingere, dipingere degli antichi paesaggi pare non essere esattamente compreso nello spirito della citata massima, al cui riguardo mi si impone la seconda domanda: in altri tempi si dipingeva per la gloria di Dio, anche per celebrare le grandi vittorie, o gli antenati. Quali meriti ha il nostro tempo per essere venerato al pari di tali supremi valori?


la scatola dei colori




tulipani casa

Suppongo che lo si deve alle straordinarie conquiste scientifiche ed alle incredibili potenzialità tecnologiche capaci di esaltare gli animi, per cui i gioiosi concetti gemelli progresso e avanguardia hanno conferito al nostro tempo l’attuale valore mitico, valore che, dopo più di un secolo e mezzo di fede, siamo forse costretti a ridimensionare. – Ammiro l’indipendenza da tale mito di chi, come Giovanna, apre la finestra e dipinge un paesaggio, il suo paesaggio, quello che vede tutti giorni, e come lo vede. Ma certo non per ingenuità: dai suoi pennelli non esce la consueta immagine idilliaca delle dolci colline con cipressi e case coloniche, escono delle immagini visionarie fatte di liberi campi di colore che si compongono come un bellissimo arazzo, uniti, mi viene da dire sorvolati da trasparenti e leggerissime pennellate bianche. Questo bianco è luce.


Quanto per lei la luce sia importante non rivelano solamente i suoi dipinti ma anche la sua poesia Crete, un vero inno alla sua terra, nel quale attribuisce innumerevoli aggettivi alla luce: luce cangiante, giusta luce, luce chiara, luce intensa, luce pallida, luce mobile. La parola Crete invece suggerisce il senso del peso, della compattezza, della massa. Le sue crete appaiono leggere. E’ proprio questa luce che le rende lievi, Giovanna infatti sa dipingere l’aria. Possiede una grande maestria pittorica oltre una colta consapevolezza formale. L’epoca della sua formazione, nei primi anni sessanta, coincide con il massimo fiorire dell’astrattismo, di cui mostra aver recepito la lezione.



gatto

Cordelia casa

In un primo momento i campi di colore, che strutturano la superficie dei suoi quadri, sembrano infatti essere una pura esercitazione di composizione astratta, poi ai nostri occhi si trasformano, si uniscono in una interpretazione pittorica del paesaggio. Siamo propensi a cogliere nei dipinti di Giovanna unicamente la felicità delle molte cangianti forme di bellezza, ma nel contempo contengono un profondo senso di malinconia e di rimpianto. Si avverte un senso di precarietà, di pericolo che lei stessa esprime con il titolo di uno dei suoi paesaggio: luminosità cangianti che ricoprono i veleni della terra violata.


Tra i lunghi titoli, quasi esplicativi, troviamo anche: pendii graffiati da un linguaggio antico e dal passare dei trattori. Potrebbe esistere un tema più pacifico e conciliante, più perenne di quello delle crete senesi? Ma una profonda inquietudine per il futuro, si manifesta nei nascosti veleni. - Il confronto della pittura di Giovanna con quella di Ambrogio Lorenzetti sarebbe di per se' certamente fuori luogo, se non fosse per scoprire le differenze nel trattare un identico tema: le stesse crete senesi dipinte da Lorenzetti, emanano una rassicurante serenità. Con i contorni delle alture nitidamente circoscritte, così come sono definiti quelli di alberi, persino delle singole foglie, il Maestro non lascia margine al dubbio: le cose sono così, esattamente così, per cui ci rassicura anche che rimarranno così.



sfondo

Giovanna non fissa dei contorni: dipinge la luce, rende conto di sfuggenti impressioni. Così, come si sono prodotte le visioni, potranno rapidamente scomparire. La sua fluida immagine, rinunciando proprio a quella puntuale precisazione che fissa e racchiude nei propri contorni campi e colline, suggerisce la sensazione del mutamento. Questo non può che trasmettere il senso del precario. Eppure il paesaggio reale per Giovanna rappresenta una sicura ancora. Infatti afferma quanto segue in conclusione della sua poesia Crete: Paesaggio ideale talvolta per stemperare l’inquietudine intrisa di progetti falliti, di nostalgie che in esso si trasformano in sostanza figurativa.
Ho iniziato la mia riflessione mettendo in dubbio la validità dell’imperativo secondo cui l’artista deve rappresentare il proprio tempo, per poi concludere che Giovanna con i suoi paesaggi rende uno stato d’animo che appartiene fondamentalmente al presente: la potente bellezza delle crete è vista nella precarietà dell’attimo di una rapida luce. Quello stesso paesaggio che Lorenzetti rappresenta in una definitiva compiutezza, espresso in ogni particolare ben circoscritto, rispecchia ora nei paesaggi di Giovanna l’inquietudine del cambiamento, della incertezza. Nel cogliere con Giovanna l’attimo di una luce cangiante, giusta, chiara, intensa, pallida, mobile che inondano le sue crete, viviamo con lei l’emozione di questi grandi attimi.

Dal catalogo Le Crete, Marzo 2018.









Crete con alberi

Francesca Vannozzi

Storica della Medicina

QUEI MARI DI CRETA

Ti attraggono quei mari di creta, grigi, azzurri, verdi, ocra. E' la bizzarria della natura e delle stagioni che li veste di sempre nuovi e diversi abiti. Sono loro, le crete senesi, ma ti si presentano ogni volta altre, magiche e misteriose. Come un canto di sirena attraggono l'ospite, ancor più se intrepido affronta una percorso a piedi tra le mille gobbe e gli anfratti. E la luce, sempre diversa, le avvolge e le rende belle nella rotondità del tempo. Il cammino le svela, e il passo da agile può diventare impossibile se la pioggia cade e trasforma la via in trappola di argilla viscosa, quasi a trattenerti per sempre in sabbie infide.

Cipressi o rovi interrompono la continuità del terreno. Nuvole che corrono nel cielo si proiettano in ombre fuggenti che vestono i campi arati. L'erpice vìola la crosta della madre terra in un segno ossessivo di solchi perfetti. Rari voli di uccelli rompono l'aria e il grido del rapace svela la presenza di una vita difficilmente immaginabile. Lame di luce radente al tramonto tingono di rosa e arancione le mammelle delle crete. Mentre la luce sparata dell'alba le copre di polvere d'oro. Pochi specchi d'acqua si insinuano nelle loro pieghe e la nutria lenta solca la superficie smeraldo. Paesaggio di nulla, paesaggio di tutto che cattura lo sguardo e rapisce l'animo dell'artista attonito, nella sfida di rendere l'essenza del mutevole paesaggio col tratto del proprio pennello.

Dal catalogo Le Crete, Marzo 2018





Antonio Prete

Storico della Letteratura e Scrittore

Nei dipinti e nei pastelli di Giovanna Consorti è messo in atto un dialogo delle forme con l’assenza. In colui che li osserva una particolare percezione prende campo: il visibile appare per dir così nella sua privazione, abbandonato alla sua solitudine, e per questo se ne sta in una sorta di sospensione, in certo modo al di qua del senso, o alla ricerca di un senso ultimo e nascosto. In questa condizione è l’ umile presenza della terra che si veste di luce e di ombra, si fa colore, linea di paesaggio, incantamento e silenzio. Ecco le geometrie che si cercano, la figurazione del volto che sembra ritrarsi al di qua del visibile, i pastelli che rivelano nella dolcezza delle linee e dei colori il movimento delle crete verso il cielo, un cielo che è in ascolto della terra, dei suoi silenzi, del suo dolore.

Dal catalogo Le Crete, Marzo 2018


ritratto Giovanna Consorti
Giovanna Consorti, autoritratto a carboncino