Enzo Carli
Critico e Storico dell'arte
Sono lieto di salutare questo primissimo esordio in pubblico di Giovanna Consorti perché rare volte mi è occorso di ravvisare in un giovane artista un percorso così intenso, coerente e rigoroso. Esso infatti, pur nella ricchezza e nella validità dei singoli raggiungimenti poetici rivelatori di un temperamento, più ancora che sensibile, fervidamente appassionato ed aperto verso gli aspetti della realtà, si configura negli otto-nove anni che mi sono noti, cioè da quando, assai precocemente, ha preso coscienza di se e del suo farsi storia, sotto il segno di un’assidua ricerca di epurazione formale, di essenzialità rappresentativa ed al tempo stesso in una progressiva liberazione dei più intimi ed immediati moti che stimolano e governano l’espressione pittorica e grafica.
Cordelia von den Steinen
Scultrice
I dipinti di Giovanna Consorti e il mondo in cui vive sono un tutt’uno. Alla base della sua dedizione ai temi della natura non ci sono intenti teorici, per esempio al riguardo delle urgenze ecologiche, né romanticismi ma una reale e genuina sintonia con la natura: la vedo infatti potare amorevolmente i suoi fiori, raccogliere le olive, piantare erbe odorose, trasformare il suo giardino in una opera d’arte. Il suo giardino è compreso in un grande, meraviglioso, secolare giardino: quello delle crete senesi, tema dei dipinti qui presentati. Giovanna Consorti entra quindi nel panorama dell’arte come paesaggista.
Senza voce contraria, la libertà di espressione rappresenta un valore condiviso, vale a dire: l’artista non deve. D’altra parte non meno condivisa è la massima secondo cui l’artista, per essere tale, deve esprimere il proprio tempo.
Delle due la mia prima domanda a questo proposito è: quale, tra le infinite realtà che compongono il mosaico del nostro tempo, è delegata a rappresentarlo?
Si intuisce che sono sottintese la cultura metropolitana, globalizzata, tecnologicamente avanzata e le realtà sociali di massa, che artisticamente si riconoscono nelle sperimentazioni. Ciò incurante dal fatto che del nostro tempo fanno ugualmente parte infinite altre realtà come per esempio quelle delle steppe, delle Alpi, delle crete.
Comunque dipingere, dipingere degli antichi paesaggi pare non essere esattamente compreso nello spirito della citata massima, al cui riguardo mi si impone la seconda domanda: in altri tempi si dipingeva per la gloria di Dio, anche per celebrare le grandi vittorie, o gli antenati. Quali meriti ha il nostro tempo per essere venerato al pari di tali supremi valori?
Suppongo che lo si deve alle straordinarie conquiste scientifiche ed alle incredibili potenzialità tecnologiche capaci di esaltare gli animi, per cui i gioiosi concetti gemelli progresso e avanguardia hanno conferito al nostro tempo l’attuale valore mitico, valore che, dopo più di un secolo e mezzo di fede, siamo forse costretti a ridimensionare. – Ammiro l’indipendenza da tale mito di chi, come Giovanna, apre la finestra e dipinge un paesaggio, il suo paesaggio, quello che vede tutti giorni, e come lo vede. Ma certo non per ingenuità: dai suoi pennelli non esce la consueta immagine idilliaca delle dolci colline con cipressi e case coloniche, escono delle immagini visionarie fatte di liberi campi di colore che si compongono come un bellissimo arazzo, uniti, mi viene da dire sorvolati da trasparenti e leggerissime pennellate bianche. Questo bianco è luce.
Quanto per lei la luce sia importante non rivelano solamente i suoi dipinti ma anche la sua poesia Crete, un vero inno alla sua terra, nel quale attribuisce innumerevoli aggettivi alla luce: luce cangiante, giusta luce, luce chiara, luce intensa, luce pallida, luce mobile. La parola Crete invece suggerisce il senso del peso, della compattezza, della massa. Le sue crete appaiono leggere. E’ proprio questa luce che le rende lievi, Giovanna infatti sa dipingere l’aria. Possiede una grande maestria pittorica oltre una colta consapevolezza formale. L’epoca della sua formazione, nei primi anni sessanta, coincide con il massimo fiorire dell’astrattismo, di cui mostra aver recepito la lezione.
In un primo momento i campi di colore, che strutturano la superficie dei suoi quadri, sembrano infatti essere una pura esercitazione di composizione astratta, poi ai nostri occhi si trasformano, si uniscono in una interpretazione pittorica del paesaggio.
Siamo propensi a cogliere nei dipinti di Giovanna unicamente la felicità delle molte cangianti forme di bellezza, ma nel contempo contengono un profondo senso di malinconia e di rimpianto. Si avverte un senso di precarietà, di pericolo che lei stessa esprime con il titolo di uno dei suoi paesaggio: luminosità cangianti che ricoprono i veleni della terra violata.
Tra i lunghi titoli, quasi esplicativi, troviamo anche: pendii graffiati da un linguaggio antico e dal passare dei trattori. Potrebbe esistere un tema più pacifico e conciliante, più perenne di quello delle crete senesi? Ma una profonda inquietudine per il futuro, si manifesta nei nascosti veleni. - Il confronto della pittura di Giovanna con quella di Ambrogio Lorenzetti sarebbe di per se' certamente fuori luogo, se non fosse per scoprire le differenze nel trattare un identico tema: le stesse crete senesi dipinte da Lorenzetti, emanano una rassicurante serenità. Con i contorni delle alture nitidamente circoscritte, così come sono definiti quelli di alberi, persino delle singole foglie, il Maestro non lascia margine al dubbio: le cose sono così, esattamente così, per cui ci rassicura anche che rimarranno così.
Francesca Vannozzi
Storica della Medicina
QUEI MARI DI CRETA
Ti attraggono quei mari di creta, grigi, azzurri, verdi, ocra.
E' la bizzarria della natura e delle stagioni che li veste di sempre nuovi e diversi abiti.
Sono loro, le crete senesi, ma ti si presentano ogni volta altre, magiche e misteriose.
Come un canto di sirena attraggono l'ospite, ancor più se intrepido affronta una percorso a piedi tra le mille gobbe e gli anfratti.
E la luce, sempre diversa, le avvolge e le rende belle nella rotondità del tempo.
Il cammino le svela, e il passo da agile può diventare impossibile se la pioggia cade e trasforma la via in trappola di argilla viscosa, quasi a trattenerti per sempre in sabbie infide.